Il patto di famiglia
Il patto di famiglia | |
Norma | Il patto di famiglia è stato introdotto nell’ordinamento con la Legge 14 febbraio 2006, n. 55 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 50 del 1° marzo 2006. Sono stati inseriti sette nuovi articoli nel Codice civile (da 768-bis a 768-octies). |
Forma giuridica | È un contratto che va ad incidere sulla successione ereditaria dell’imprenditore. Deve necessariamente essere stipulato per atto pubblico con l’assistenza di un notaio. |
Utilizzo | Con “il patto” l’imprenditore individuale trasferisce in vita, in tutto o in parte, la propria azienda e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote o azioni, ad uno o più discendenti. Il trasferimento deve garantire il rispetto della norma in tema di impresa familiare e il rispetto delle diverse tipologie societarie. |
Chi deve partecipare all’atto notarile | Tutti coloro che sono legittimari (vale a dire, gli eredi che la legge prevede non possano essere esclusi dall’asse ereditario) se in quel momento si aprisse la successione del patrimonio dell’imprenditore (coniuge, figli, nipoti, pronipoti). |
Contenuto del contratto | Il contratto deve prevedere che il discendente assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni “compensi” gli altri partecipanti al patto attraverso il pagamento di una somma (o un bene in natura) corrispondente al valore delle quote riservate ai legittimari. I legittimari, tuttavia, possono rinunciare alla compensazione (in tutto o in parte); è ciò che spesso succede da parte dell’altro genitore che è un legittimario. |
Liquidazione in natura | I contraenti possono convenire che la liquidazione, in tutto o in parte, possa avvenire in natura. In questo caso i beni in natura assegnati a favore dei non assegnatari dell’azienda sono imputati alla quota legittima loro spettante, cioè, sono da considerarsi un anticipo sulla futura successione ereditaria. È bene far periziare il bene (così come è bene fare periziare l’azienda e le azioni o quote assegnate) ad evitare future contestazioni. |
Rapporti con i legittimari sopravvissuti | Dopo la stipula del patto di famiglia, all’apertura della successione, alcuni soggetti possono assumere la qualifica di legittimari (es. figlio nato successivamente al patto o nuovo coniuge del disponente). Costoro potranno chiedere ai beneficiari del patto il pagamento di una somma pari al valore della quota legittima loro spettante. |
Impugnativa | Il contratto può essere impugnato, entro il limitato termine di un anno, solo per cause molto gravi (errore nel consenso, volontà estorta, etc.). |
Le cause di scioglimento | Il contratto può essere sciolto o modificato dagli stessi soggetti che vi hanno partecipato:
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La peculiarità del contratto patto di famiglia non è il trasferimento dell’azienda o della partecipazione in sé (è sufficiente l’atto notarile di donazione), ma quello di evitare che i legittimari a cui non viene trasferita l’azienda ovvero la partecipazione, alla morte del disponente/imprenditore, possano esperire l’azione di riduzione e di restituzione in relazione all’azienda trasferita, imputando a collazione la somma percepita a titolo di liquidazione.
La deroga al divieto dei patti successori
Le norme codicistiche del patto di famiglia introdotte dalla Legge 14 febbraio 2006, n. 55 si pongono in droga al divieto disposto dall’art. 458 del c.c., il quale dispone il divieto di stipulare c.d. “Patti successori”, ossia di stipulare accordi o convenzioni aventi ad oggetto beni ereditari di una persona non ancora deceduta.
Ed infatti, l’art. 458 nella sua attuale formulazione prevede quanto segue:
“Fatto salvo quanto disposto dagli articoli 768-bis e seguenti, è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. È del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi”.
Cos’è il patto di famiglia
Ai sensi dell’art. 768-bis del c.c.
“È patto di famiglia il contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti.”.
Il contratto ha effetto immediato ad efficacia reale traslativa del diritto proprietà (o di usufrutto dell’azienda, delle azioni o quote), che ha effetti sulla successione del disponente genitore o nonno, avente un oggetto bene individuato, vale a dire l’azienda o la partecipazione societaria.
Patto di famiglia con atto pubblico
Nell’art. 768-ter c.c., rubricato “Forma” è disposto che
“A pena di nullità il contratto deve essere concluso per atto pubblico”.
Dal punto di vista pratico si pone il problema della necessità o meno dei due testimoni. Coloro che ritengono il patto di famiglia un contratto del tutto assimilabile alla donazione, ritiengono imprescindibile la presenza dei due testimoni, altri che fanno risaltare l’autonomia dell’istituto, li ritengono non necessari. Nella pratica risulta che i notai in via cautelativa fanno presenziare all’atto due testimoni. Affinché l’atto sia valido è necessario che vi partecipino specifici soggetti, direttamente o indirettamente, interessati al patto o ai suoi effetti.
Art. 768-quater c.c. – Partecipazione
“Al contratto devono partecipare anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell’imprenditore.
Gli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni societarie devono liquidare gli altri partecipanti al contratto, ove questi non vi rinunzino in tutto o in parte, con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote previste dagli articoli 536 e seguenti; i contraenti possono convenire che la liquidazione, in tutto o in parte, avvenga in natura.
I beni assegnati con lo stesso contratto agli altri partecipanti non assegnatari dell’azienda, secondo il valore attribuito in contratto, sono imputati alle quote di legittima loro spettanti; l’assegnazione può essere disposta anche con successivo contratto che sia espressamente dichiarato collegato al primo e purché vi intervengano i medesimi soggetti che hanno partecipato al primo contratto o coloro che li abbiano sostituiti.
Quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o a riduzione.”.
È bene sottolineare in questa sede che, mentre la disciplina giuridica del patto di famiglia non consente di assegnare i predetti beni al coniuge (che deve comunque presenziare al patto e non opporsi), dal punto di vista fiscale abbiamo visto (cfr. la Circolare “Il patto di famiglia: i risvolti fiscali“) che l’esenzione da imposta di donazione (e successione) è riconosciuta anche nel caso in cui il donatario ovvero l’erede assegnatario dell’azienda e della partecipazioni sia il coniuge.
Il patto deve prevedere che gli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni societarie liquidino in denaro o in natura agli altri partecipanti al contratto la parte di loro spettanza, salvo questi vi rinunzino in tutto o in parte.
Come già detto nello schema che precede, ai fini dell’individuazione del valore della azienda ovvero delle partecipazioni è opportuno, anche se non è richiesto dalla legge, predisporre una perizia da allegare all’atto notarile. È inoltre opportuno allegare una situazione patrimoniale(redatta sulla base dei valori correnti) al momento del trasferimento aziendale o della società recente rispetto alla stipula dell’atto.
Non è indispensabile che la liquidazione dei legittimari avvenga nel patto di famiglia; è possibile stipulare un successivo contratto nel quale, intervenendo tutti i precedenti soggetti, si procede alla liquidazione, vale a dire alla individuazione del valore che i donatari devono riconoscere ai legittimati.
I soggetti coinvolti nel contratto | |
Il disponente | È il titolare dell’impresa individuale (o delle quote di maggioranza di una società di persone) o delle partecipazioni di controllo dell’azienda di famiglia (anche nella forma di società di capitali). Non rientra nella fattispecie la titolarità di studi professionali. |
I beneficiari | Tutti i discendenti del disponente siano essi figli, nipoti, pronipoti, ecc. Sono esclusi i coniugi, i fratelli le sorelle e gli ascendenti del disponente. La norma (art. 768-bis) non richiede che il beneficiario sia un legittimario, ma solo un discendente: può quindi trattarsi di un nipote, il quale se il padre è ancora vivo, è un legittimario di secondo grado, che subentra al padre nel caso in cui questo non possa o non voglia accettare l’eredità. |
I partecipanti al patto | Tutti coloro che sarebbero legittimari (art. 537 c.c.) se al momento della stipula del patto si aprisse la successione (ad esempio, il coniuge, i figli legittimi naturali o adottivi e in taluni casi gli ascendenti). |
Chi sono i legittimari | Sono legittimari le persone a favore delle quali la legge riserva una quota di eredità o altri diritti nella successione laddove in quel momento si aprisse la successione, ossia il coniuge, i figli legittimi, i figli naturali, gli ascendenti (quest’ultimi solo in taluni casi). Alcuni soggetti possono assumere la qualifica di legittimari dopo la stipula del patto di famiglia (es. figli nati dopo la stipula del contratto, figli naturali riconosciuti, nuovo coniuge). |
Il patto – Aziende e partecipazioni
Ebbene, l’art. 768-bis del c.c. stabilisce che il patto di famiglia può prevedere che l’imprenditore trasferisca, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti.
Dunque:
- trasferimento dell’azienda – Deve trattarsi di azienda, intesa come il complesso dei beni organizzati per l’esercizio dell’impresa (art. 2555 del c.c.). Non costituisce azienda secondo la giurisprudenza civilistica della Cassazione, il trasferimento di una serie sfusa di beni produttivi scoordinati e non suscettibili di un unitario indirizzo produttivo poiché ciò non consentirebbe la prosecuzione dell’attività, esulando quindi da quella continuità gestionale endofamiliare a cui la legge è finalizzata;
- trasferimento di partecipazioni societarie – La norma civilistica, facendo riferimento al trasferimento di partecipazioni societarie non dispone che queste debbano essere partecipazioni di controllo potendo essere anche mere partecipazioni di minoranza, acquisite evidentemente anche per solo intento speculativo senza alcun coinvolgimento gestionale nelle stesse. Senonché, la questione è oggetto di dibattito poiché la norma non specifica se il titolare delle partecipazioni societarie debba o meno essere un imprenditore: il socio di maggioranza (o totalitario) di una società di capitali non è tecnicamente un imprenditore ma un socio, né può essere qualificato come tale colui che, in attesa di coinvolgere i figli nella gestione familiare decide temporaneamente di affittare la propria azienda a terzi. La dottrina prevalente ritiene che il trasferimento debba riguardare partecipazioni societarie che consentono al loro titolare di dirigere le scelte della società (di capitali) e dunque, la quota di maggioranza.
Le esenzioni fiscali concesse al patto di famiglia (e non solo)
Come visto nel contributo dedicato agli aspetti fiscali, il legislatore nel disciplinare la donazione ovvero successione di partecipazioni, anche nell’ambito dei patti di famiglia, ha introdotto la necessità per fruire della esenzione dalle predette imposte, che:
- azioni o quote di società di capitali – Venga trasferita ad un solo discendente (o coniuge) la maggioranza dei diritti di voto;
- quote di società di persone – Venga trasferita qualunque percentuale di partecipazione, senza, dunque, alcuna limitazione.
Inoltre, come già detto, anche al coniuge che non può essere assegnatario nell’ambito del patto di famiglia, è possibile trasferire aziende o partecipazioni in esenzione da imposta di donazione/successione, al ricorre dei presupposti che verranno analizzati nel prossimo contributo.
Il trasferimento di quote di società di capitali
Nelle società di capitali il trasferimento delle azioni o quote non comporta la modifica dello statuto.
Senonché, la preventiva ricognizione dello statuto si rende indispensabile, posto che questo potrebbe contenere:
- clausole di gradimento – Il disponente dovrà in questo caso acquisire il benestare degli altri soci;
- clausole di prelazione – Posto che la donazione e la successione nel possesso della partecipazione avviene a titolo gratuito, il diritto di prelazione non può essere esercitato dagli altri soci.
Problematica, invece, è la presenza di clausole statutarie che prevedono la non trasmissibilità delle partecipazioni salvo mortis causa: in questo caso per utilizzare il patto di famiglia (come contratto di donazione) è necessario rimuoverle.
Il termine “quote” presente nell’ultima parte dell’art. 768-bis (vedi oltre), è certamente frutto di una approssimazione posto che letteralmente le società per azioni o in accomandita per azioni suddividono il capitale sociale in azioni ma ciò non appare sufficiente per escludere dal patto le partecipazioni in queste ultime tipologie societarie, posto che è ovvio che l’azienda di famiglia possa essere gestita anche mediante una società per azioni.
“È patto di famiglia il contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti.”
Tornando al trasferimento di partecipazioni in società di capitali e ricordando che in questo contributo si stanno affrontando gli aspetti giuridici e non la norma fiscale, occorre distinguere:
- trasferimento di partecipazione di maggioranza – È pacifico che la partecipazione possa essere trasferita utilizzando il patto di famiglia;
- trasferimento di una quota di minoranza – Si dubita che ci si possa avvalere del patto di famiglia perché la mancanza del controllo non consente di incidere sugli obiettivi e sui criteri per raggiungerli, elementi cardine del patto di famiglia che intende garantire la continuità aziendale.
Una parte della dottrina ritiene trasmissibile, nelle sole società per azioni, con base azionaria più frazionata, anche quote non di maggioranza ma che in base all’anzidetto frazionamento permettono al disponente il controllo della società stessa. Si tratta in sostanza del c.d. controllo di fatto che è in termini aziendalistici un concetto del tutto noto e condiviso.
Usufrutto e nuda proprietà
Mentre si ravvisano criticità nel trasferire la sola nuda proprietà poiché il donatario non ha la gestione dell’azienda ovvero della partecipazione, sembra sconsigliabile trasferire il solo usufrutto poiché questo potrebbe (elemento necessario) gestire l’azienda (o la partecipazione) fino alla propria morte, senza però poterla a sua volta trasmettere ai propri eredi: è sicuramente un disincentivo a porre in essere una politica di sviluppo aziendale, in contrasto con la ratio del patto di famiglia.
La soluzione potrebbe essere quella di:
• trasferire la nuda proprietà dell’impresa al nipote;
• costituendo al proprio discendente diretto (figlio) l’usufrutto vitalizio (e quindi la gestione) dell’impresa.
Tale usufrutto potrebbe essere congiuntivo fra disponente ed il proprio o i propri figli (ossia al 50%) con diritto di accrescimento, in caso di premorienza a favore del (dei) figlio (i) medesimo (i).
Il trasferimento di quote di società di persone
Il trasferimento delle partecipazioni societarie deve avvenire, per espressa disposizione dell’art. 768-bis c.c. compatibilmente e nel rispetto delle diverse tipologie societarie.
Ciò costituisce un evidente limite poiché nelle società personali la cessione della quota di uno dei soci comporta una specifica modificazione del contratto sociale e, quindi, in assenza di una diversa pattuizione, può avvenire solo previo consenso dell’intera compagine sociale.
Il trasferimento di quote di società di persone – Art. 2252 del c.c. | |
Contratto sociale prevede unanimità dei consensi |
Contratto sociale prevede maggioranza o altro |
Deve essere acquisito il consenso unanime dei soci che quindi devono intervenire all’atto del patto di famiglia per manifestare tale unanime consenso. | Nel caso di previsione del contratto sociale di libera trasferibilità delle quote o necessità di solo consenso della maggioranza, il patto sarà valido qualora vengano rispettate tali previsioni. |
Non è necessario che venga trasferita con il patto di famiglia la maggioranza del capitale sociale della società di persone posto che in questa tipologia societaria, tutti i soci solidalmente responsabili hanno la gestione della società.
Senonché vi sono dubbi laddove il socio dovesse rinunciare alla carica di amministratore poiché viene meno il raggiungimento del patto di famiglia volto a garantire la continuità della gestione.
In conseguenza di ciò nelle s.a.s., sembrano senz’altro trasferibili, le sole quote dei soci accomandatari (che gestiscono la società), poiché non appare condivisibile la tesi che equipara il potere autorizzatorio degli accomandanti al potere gestorio (che è prerogativa dei soci accomandatari). Gli accomandanti, nell’assegnare la gestione della società agli accomandanti, hanno solo diritto al rendiconto.
Il regime patrimoniale dei coniugi – Impatto
L’imprenditore coniugato che esercita in forma individuale la propria attività pur in presenza di comunione legale, può disporre tramite patto di famiglia della propria azienda, dal momento che questa rientra solo nella comunione de residuo, vale a dire sarà oggetto di divisione tra i coniugi solo in quanto l’azienda esista al momento dello scioglimento della comunione legale tra coniugi (per divorzio ovvero per morte dell’imprenditore).
Viceversa, se l’azienda è stata costituita prima del matrimonio, ma successivamente è gestita da entrambi (azienda coniugale), per il perfezionamento del patto di famiglia è necessario il consenso di entrambi i coniugi a favore del discendente assegnatario. È bene ricordare che il coniuge è peraltro legittimario e deve quindi essere compensato dal figlio donatario salvo rinuncia espressa nell’atto.
Dal punto di vista procedurale, nel caso di trasferimento di una partecipazione sociale da parte del disponente che è in regime di comunione legale dei beni con il coniuge, occorre distinguere la natura giuridica della stessa:
- società di persone: Si ritiene che le quote trasferite non cadano in comunione trattandosi di partecipazioni societarie contraddistinte dall’intuitus personae; la partecipazione, infatti, non potrà trasferirsi a favore di un terzo senza il consenso degli altri soci;
- società di capitali: rientrano senz’altro nella comunione legale tra coniugi le azioni delle società per azioni ed in accomandita per azioni, la quota dei soci accomandanti delle s.a.s., nonché (dottrina maggioritaria) le quote della società a responsabilità limitata. Si tratta di partecipazione spersonalizzate in cui la figura del socio è meno pregnante (o del tutto assente) sotto il profilo gestorio.
Impresa familiare – Impatto
L’art. 768-bis del c.c., stabilisce che gli accordi relativi al trasferimento dell’azienda o della partecipazione devono essere compatibili con le norme in materia di impresa familiare e rispettose delle differenti tipologie societarie.
Ordunque, le disposizioni in materia di impresa familiare e di diritto societario sono prevalenti rispetto alle disposizioni relative al patto di famiglia e quindi devono essere a salvaguardate all’atto della stipula, onde evitare conflitti fra i diversi istituti.
Art. 230-bis c.c. – Impresa familiare
“Salvo che sia configurabile un diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato.
…
In caso di divisione ereditaria o di trasferimento dell’azienda i partecipi di cui al primo comma hanno diritto di prelazione sulla azienda. Si applica, nei limiti in cui è compatibile, la disposizione dell’articolo 732.”.
Ne consegue che, laddove l’imprenditore disponente dona l’azienda, si pongono due tipologie di problemi:
- la liquidazione ai familiari partecipanti all’impresa;
- il diritto alla liquidazione dei legittimari;
- il diritto di prelazione dei familiari espressamente previsto dal comma 5 dell’art. 230-bis del c.c.
Nel momento in cui cessa la collaborazione prevista dal comma 1 dell’art. 230-bis del c.c.:
- cessa per l’imprenditore individuale disponente l’obbligo di mantenimento dei familiari;
- contestualmente nasce il loro diritto ad essere liquidati per gli accrescimenti apportati all’azienda in costanza di rapporto.
Impresa familiare | |
Liquidazione ai familiari | Il familiare legittimario |
Il valore della liquidazione deve tener conto degli utili prodotti e dei beni con essi eventualmente acquistati, degli incrementi dell’azienda e dell’avviamento. | Se il collaboratore rientra nell’ambito dei c.d. legittimari, la liquidazione per lo scioglimento dell’impresa familiare va a cumularsi per costui con il diritto alla liquidazione previsto dagli artt. 768-quater e 768-sexies per i legittimari. |
Dubbi permangono circa il diritto di prelazione concesso dall’art. 230-bis ai familiari all’impresa nel caso di trasferimento d’azienda.
- La dottrina minoritaria ritiene che le disposizioni dell’art. 230-bis sul 768-bis prevalgano sul patto di famiglia e competa ai familiari il diritto di prelazione, ancorché i collaboratori non siano legittimari (esempio una sorella del titolare dell’impresa).
- La dottrina prevalente, invece, ritiene che dal momento che nel patto di famiglia il trasferimento dell’azienda avviene a titolo gratuito, non può esistere il diritto di prelazione in capo ai collaboratori familiari, posto che tale diritto per sua natura spetta esclusivamente a fronte di contratti a titolo oneroso. Chi scrive propende per quest’ultima soluzione.
È evidente che resta per il collaboratore familiare il diritto alla percezione degli utili e degli incrementi patrimoniali. È quindi opportuno che i collaboratori intervengano nel contratto patto di famiglia per prendere atto della cessazione dell’impresa familiare e per rinunciare ai loro diritti pecuniari o per rilasciare quietanza a seguito dell’incasso degli stessi. Inoltre, si dovrà necessariamente tenere conto del valutare l’azienda dei debiti eventualmente non ancora saldati verso i familiari collaboratori.
Riferimenti normativi:
- Codice civile, artt. 230-bis, 458 e 768-bis ss.
- Legge 14 febbraio 2006, n. 55.
Fonte Mysolution
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